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La produzione degli spumanti: differenza tra metodo Charmat e Classico
A chi non piacciono gli spumanti? Tutti apprezzano un bel calice di bollicine, anche perché è da sempre associato a momenti di festeggiamento e felicità. Quello degli spumanti è un mondo affascinante e complesso, ma allo stesso tempo molto vario e ampio. Tra dosaggi, millesimi e sboccature, infatti, non tutti riescono a districarsi con agilità. In questo articolo vogliamo provare a risolvere alcuni dubbi molto diffusi sul mondo delle bollicine, a cominciare dalla differenza tra i due principali metodi di spumantizzazione: metodo Charmat e Classico.
Spumanti metodo Charmat
Il metodo Charmat prende il nome dal francese Eugéne Charmat, che ne brevettò attrezzature e processi di produzione. Il metodo viene chiamato anche Martinotti, dall’italiano Federico Martinotti che inventò in precedenza il metodo. I vini prodotti con il metodo Charmat nascono da vini fermi, che hanno quindi terminato la prima fermentazione. Questi vini poi vengono inseriti in autoclavi d’acciaio a temperatura e pressione controllate. L’aggiunta di lieviti e zucchero determina la seconda fermentazione, chiamata anche presa di spuma: l’anidride carbonica prodotta non può “scappare” perché l’autoclave è chiuso sotto pressione. Dopo la presa di spuma il vino spumante resta in questo contenitore un tempo relativamente breve, da 30 giorni a 6 mesi, dove le bollicine si integrano nel vino e lo rendono piacevole e setoso.
A questo punto il vino viene filtrato in maniera isobarica (senza perdita di pressione) per liberarsi dei residui di lieviti esausti (feccia). Avviene poi il dosaggio, cioè l’aggiunta di una miscela di vino e zucchero, che ne determina la tipologia (brut, dry, dolce…) e infine l’imbottigliamento. Una volta imbottigliati i vini sono pronti per essere venduti e quindi bevuti. Poiché è un processo piuttosto rapido, il metodo Charmat dà vita a vini per lo più leggeri, rinfrescanti e dalle note fruttate, con un perlage fine e delicato, come il Prosecco.
Vini prodotti con metodo Charmat: il Prosecco
Il Prosecco DOC copre circa 24.000 ettari nelle regioni del Veneto e del Friuli-Venezia-Giulia. Troviamo poi le DOCG Conegliano Valdobbiadene, prodotta unicamente nelle colline dell’alta provincia di Treviso, e Asolo, che comprende una quindicina di comuni nei pressi dell’omonima a nord di Venezia, sempre in provincia di Treviso. Il Prosecco è un vino prodotto con il vitigno autoctono Glera. Sono spumanti rinfrescanti, leggeri, fruttati e molto piacevoli. (se vuoi approfondire questo argomento leggi l’articolo “Prosecco: la risposta alle 3 curiosità più richieste”)
Ma i Prosecchi sono tutti uguali? La risposta è no. Come già detto, all’interno della denominazione troviamo ben due DOCG, con regole e caratteristiche molto diverse. La zona di Conegliano Valdobbiadene è caratterizzata da colline in pendenza, su altitudini variabili e terreni molto variegati, ma sempre drenanti e poveri. Il panorama mozzafiato su terrazzamenti e muretti a secco è stato istituito Patrimonio dell’Unesco. Persino The Institute of Masters of Wine ha dedicato due giorni di virtual tour per offrire agli studenti dello Stage 2 la possibilità di comprendere la variegata realtà di questa regione. In collaborazione con il Consorzio di Tutela dei vini di Conegliano Valdobbiadene gli studenti hanno parlato direttamente con agronomi ed enologi della zona, assaggiando le basi di Glera e comprendendo come esposizioni, altitudini, suolo ed età della vite incidono profondamente su pH, aromi e trama.
Cosa incide sulla qualità nella piramide del Conegliano Valdobbiadene? Sappiamo che all’interno di questa DOCG si trova la prestigiosa sottozona Cartizze, e 43 Rive. Tra i fattori naturali evidenziamo come le ripide pendenze, i terrazzamenti e l’alternanza di altitudini contribuiscono a moderare un clima continentale con ventilazioni ideali per asciugare velocemente le viti dopo le piogge. I suoli sono variegati tra scheletro e argilla e variano molto tra la zona est e quella ad ovest, donando acidità e struttura molto diverse.
In cantina ci sono due fattori che incidono: il tempo sulle fecce dei vini base e del prodotto in autoclave, e la metodologia con cui si ottiene il contenuto zuccherino.
Parliamo delle fecce. Ruggeri Prosecco insiste nel ritenere che per ottenere vini capaci di migliorare in bottiglia, con una concentrazione e trama più fitta, è necessario mantenere le basi a temperature basse e a contatto con le fecce fini per almeno cinque mesi. Successivamente, anche dopo la seconda fermentazione in autoclave, il vino deve restare almeno cinque mesi a contatto con le fecce. Perché? Perché le fecce permettono di aggiungere al vino sostanze come acidi grassi, glicerina, mannoproteine tali da rendere il prodotto più denso e pieno.
Per quanto riguarda il contenuto zuccherino, alcuni produttori, specialmente i più piccoli, adottano una variazione al Metodo Charmat come sopra descritto. Il contenuto zuccherino è deciso non con il dosaggio, ma tramite l’aggiunta insieme agli zuccheri della seconda fermentazione. Una volta arrivati alla giusta pressione si interrompe la fermentazione e il vino avrà RS desiderato. Il trend – comunque – è bere sempre più secco, tant’è che nel 2019 il Consorzio ha consentito il termine Extra Brut.
Spumanti metodo Classico
Il metodo Classico, Tradizionale o Champenoise (solo per gli Champagne prodotti nell’omonima regione) si differenzia dal Metodo Charmat principalmente perché effettua la seconda fermentazione, o presa di spuma, direttamente in bottiglia. La base di partenza per questi vini viene chiamata cuvée, cioè una miscela di più vini di base, che possono essere di vitigni, provenienze o annate diverse (a meno che non si tratti di uno spumante millesimato, cioè prodotto con uve di un’unica annata). Una volta pronta la cuvée viene imbottigliata con l’aggiunta della liqueur de tirage, una miscela di lieviti e zuccheri. Le bottiglie vengono temporaneamente chiuse con un tappo a corona. In bottiglia il vino effettua la seconda fermentazione, riposando poi in posizione orizzontale per una durata variabile da nove mesi a molti anni.
Finito l’affinamento, inizia la fase del remuage: ogni bottiglia viene ruotata di 1/8 e leggermente inclinata con il tappo verso il basso per far depositare nel collo i residui dei lieviti. Si procede così con la sboccatura (degorgement): la bottiglia viene stappata e le fecce vengono espulse. La bottiglia passa così alla fase di dosaggio, con l’aggiunta di una miscela di zuccheri e vino (liqueur d’expedition).
La classificazione in base al contenuto zuccherino
Il dosaggio determina quindi il contenuto zuccherino di uno spumante. Le denominazioni ottenute dopo il dosaggio vengono riportate in etichetta e sono così costituite:
– Pas dosé o dosaggio zero o nature: contenuto di zuccheri inferiore a 3 grammi/litro. Si tratta di vini ai quali non vengono aggiunti zuccheri in fase di dosaggio
– Extra brut: contenuto di zuccheri inferiore a 6 gr/l
– Brut: contenuto di zuccheri inferiore a 12 gr/l
– Extra dry: contenuto di zuccheri compreso tra 12 e 17 gr/l
– Dry o Secco: contenuto di zuccheri compreso tra 17 e 35 gr/l
– Demi sec o Abboccato: contenuto di zuccheri compreso tra 35 e 50 gr/l
– Dolce o Doux: contenuto di zuccheri superiore a 50 gr/l
Infine le bottiglie vengono tappate con tappo definitivo in sughero e gabbietta. Più lungo, costoso e complesso rispetto al metodo Charmat, il metodo Classico dà vita a vini più strutturati e corposi, con note più complesse prevalentemente legate all’autolisi del lievito e un perlage fine e persistente, come gli Champagne francesi o i Franciacorta italiani.
Vini prodotti con metodo Classico: Champagne e Franciacorta
La zona nota come Champagne si trova a circa 150 chilometri a nord-est di Parigi, circa 34 mila ettari intorno alle città di Epernay e Reims. Solo gli spumanti provenienti da questa AOC possono essere chiamati Champagne. La Champagne è divisa in 5 regioni di produzione principali: Montagne de Reims, Côte des Blancs, Vallée de la Marne, Côte de Sézanne e Aube. La classificazione prevede 17 comuni come Grand Cru, 41 come Premier Cru e i restanti 255 come Cru. I vitigni utilizzati sono Pinot Noir, Chardonnay e Meunier. Sono spumanti eleganti, complessi, con sentori primari di frutta fresca e note di brioche, acidità slanciate, texture cremosa e corpo strutturato, con perlage e finale persistenti.
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Il nome Franciacorta deriva da “francae curtes” ovvero corti franche. Dopo l’arrivo dei monaci Cluniacensi nel XI secolo l’area venne esonerata dalle tasse. Nel 1990 nasce il Consorzio per la cura e la gestione della DOCG. La Franciacorta si trova in Lombardia, sulle sponde del lago d’Iseo in un’area di circa 200 km quadrati che comprende 19 comuni in provincia di Brescia. Le uve utilizzate sono Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Bianco e in piccola parte l’autoctono Erbamat. Recentemente si parla di zonazione al fine di esaltare le singole vigne di provenienza ed esaltare il concetto di cru. Il clima è moderato grazie alla vicinanza del lago di Iseo che fornisce ventilazione. I vini sono intensi, ricchi, con note mature, acidità più morbide e texture strutturata.